Il disturbo paranoide è una “patologia” che rientra nella categoria dei disturbi di personalità del gruppo A, secondo la classificazione del DSM.

E’ caratterizzato da uno stile pervasivo di pensare, sentire e relazionarsi agli altri particolarmente rigido.

Le persone che ne soffrono convivono costantemente con credenze sospettose, che però non sono deliranti e non dipendono da condizioni patologiche di tipo acuto.

Tale diffidenza e sospettosità ingiustificata influenza negativamente la vita lavorativa e sociale dei pazienti, che raramente decidono di sottoporsi spontaneamente a una psicoterapia, ma sono spinti a farlo dai familiari o dai colleghi, stanchi di essere costantemente e ingiustamente accusati.

Il paziente con disturbo paranoide sospetta di essere sfruttato, danneggiato o ingannato, senza avere una base sufficiente per dubitare della lealtà dei propri cari, amici o colleghi.

Non si confida con nessuno per timore che le informazioni possano essere usate contro di lui.

Scorge significati nascosti e/o umilianti nelle parole degli altri o vede minacce in eventi benevoli.

Porta costantemente rancore e non perdona le offese, o quelle che lui interpreta come tali.

E’ suscettibile, irritabile e percepisce attacchi alla propria reputazione, che non sono evidenti agli occhi degli altri, e reagisce con rabbia.

Sospetta in modo ingiustificato e rico.rrente della fedeltà del proprio partner.

Il pensiero paranoide è caratterizzato da una mancanza di flessibilità, poiché le argomentazioni più logiche e razionali non hanno alcun effetto sulle rigide convinzioni della paranoia. L’analisi della realtà tuttavia non è distorta, semplicemente il paziente attribuisce significati oscuri e malevoli a eventi di per sé innocui.

Per il paziente, ciò che appare ovvio e banale nasconde una realtà minacciosa e, per questo, è incapace di rilassarsi, perché analizza costantemente le situazioni alla ricerca di particolari ostili.

Aspetti centrali nella psicoterapia

Sicuramente, l’approccio fondamentale di intervento clinico deve essere la psicoterapia individuale, poiché la sospettosità di questi pazienti rende praticamente impossibile tentare un approccio alla terapia di gruppo.

Gli aspetti centrali nella psicoterapia hanno a che fare con il fatto che il paziente tratta lo psicologo psicoterapeuta come un cattivo oggetto persecutorio. Il terapeuta, prudentemente, deve accogliere la proiezione del paziente, sebbene la tendenza naturale sia quella di respingere “l’accusa” e rimandarla al paziente (con un’inutile interpretazione difensiva), facendolo solamente sentire incompreso.

Il terapeuta, accogliendo questa proiezione del paziente, empatizza con il suo bisogno di proiettare, come unico e naturale metodo di sopravvivenza emozionale.

Lo psicologo diventa il contenitore di odio, cattiveria, impotenza, frustrazione, disperazione; e questo atteggiamento di contenimento offre al paziente una relazione nuova rispetto al passato, rispetto ai modelli di relazione che il soggetto ha interiorizzato, e che per questo egli si aspetta di trovare sempre e ovunque, per il resto della propria vita.

Facendo questa esperienza psicoterapeutica, il paziente scopre che l’Altro (psicologo, psichiatra, psicoterapeuta o psicoanalista) non si spaventa di fronte alle sue accuse, ma che al contrario questi attacchi vengono accolti e diventano fonte di una riflessione più ampia e profonda, all’interno della quale il terapeuta si mette realmente in discussione.

In questo modo, la psicoterapia e la psicoanalisi creano una zona mentale di “dubbio”, che è trasformativa e curativa, perché la relazione con l’analista mette in crisi gli stili di pensiero rigidi, con i quali il paziente è abituato a interpretare la realtà.

 

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